Il Bridge e la Fase 2

Da un paio di mesi a questa parte, a causa del CoViD-19, molti di noi sono stati costretti a prendere confidenza con espressioni e termini poco usati quando, addirittura, del tutto sconosciuti: coronavirus, pandemia, distanziamento sociale, DPI, ecc.
In questi giorni sui media domina l’espressione “fase 2”, definendo con tale termine quel periodo di transizione della vita civile e produttiva dalla “fase 1”, cioè l’emergenza sanitaria, alla “fase 3”, cioè alla vita normale, anche se tutti gli esperti convengono che la normalità di domani non sarà mai più la stessa di quella di ieri.
In occasione degli auguri per la Pasqua, giorni addietro ho avuto modo di scambiare qualche parola con il Presidente Ferlazzo; anche se quello non appariva il momento propizio è stato inevitabile un breve accenno allo stato attuale del Paese e del bridge in particolare.
Mentre di solito il suo carattere è piuttosto aperto e positivo, stavolta la voce del Presidente tradiva una sincera preoccupazione per le sorti del nostro movimento, non solo per le dirette e immediate conseguenze dello stop prolungato quanto per un ritorno alle consuete attività che concretamente appare non prossimo e irto di difficoltà.
Alla fine ci siamo trovati d’accordo sul fatto che sarebbe già un bel risultato riuscire a rivedersi tutti a dicembre, magari per uno stupefacente “Città di Milano” che possa rappresentare una festa del bridge per scambiarsi gli auguri di Buon Natale e Buon 2021 e riprendere il cammino così drammaticamente interrotto.
Parlarne oggi sembra un sogno, ma un sogno che dobbiamo essere pronti a vivere se e quando finalmente diventerà realtà.
Il Governo nazionale ha formato una nutrita task force, guidata da un manager di grande valore, per studiare tempi e modalità di attuazione della “fase 2” nei diversi settori del Paese; al momento la data di avvio non è determinabile perché direttamente dipendente dall’andamento della curva epidemiologica ma, dopo due mesi di blocco quasi totale, non dovrebbe tardare troppo.
Forse anche la Federazione dovrebbe cominciare a lavorare, eventualmente anche avvalendosi di contributi esterni, per preparare l’avvio della “fase 2” che, secondo quanto trapela dalla cronaca, per le attività sportive potrebbe gradualmente iniziare all’inizio dell’estate.
In pratica cominciare a disegnare l’organizzazione del futuro, necessariamente diversa da quella finora conosciuta, che dovrà passo dopo passo riportare le nostre attività ad una normalità accettabile.
Si è già detto ma forse è bene ripeterlo fino alla noia: come per il resto della società, anche per il mondo del bridge nulla sarà più come prima.
Il timore che numerose Associazioni possano incontrare difficoltà a riaprire i battenti è più che fondato ma, mia opinione personale, in fondo non sarebbe un dramma purchè non siano i tesserati a disertare.
Anzi potrebbe essere una buona occasione per rimuovere quelle tante che non producono attività ed anche, argomento che periodicamente emerge ma che poi è sempre accantonato, per operare quell’accorpamento di tante modeste Associazioni che insistono sullo stesso territorio. E forse si potrebbero finalmente ricomporre i tanti dissidi, spesso più di carattere personale che sostanziale, che purtroppo avvelenano l’armonia dell’ambiente.
Non che si intenda ostacolare la libertà costituzionale di associarsi, ci mancherebbe, ma dovrebbero essere posti dei limiti alla possibilità di affiliazione favorendo, per quanto possibile, l’aggregazione: è normale che una qualsiasi realtà con 150/200 tesserati conti 5 Associazioni? Personalmente non credo, poi è evidente che la loro esistenza rischi di diventare problematica.
Alla ripresa le difficoltà, anche solo di carattere pratico, sicuramente non mancheranno; un esempio per tutti: a causa del distanziamento o di altre limitazioni che saranno imposte, è possibile che per tante ASD sorgano problemi di spazio all’interno dei locali, in molti casi già abbastanza angusti, costringendole a limitare l’offerta. Detto in altri termini le ASD, molte se non tutte, saranno costrette a ridurre il numero dei tavoli per rispettare le normative.
Bisogna anche dire che, a parte la mancanza delle carte in mano, innegabilmente i più colpiti da questo stato di cose sono, e lo saranno ancora in futuro, coloro che delle attività legate al bridge hanno fatto una professione, siano essi gestori di ASD, arbitri, insegnati o giocatori: nessuno, tantomeno il sottoscritto, prevede il futuro ma è verosimile ritenere che le opportunità non saranno più le stesse conosciute fino ad oggi.
I tesserati, che tramite le ASD ne sono la vera spina dorsale, non dovranno fare mancare tutta la loro solidarietà alla Federazione per evitare che il bridge italiano rischi il tracollo: ad essi la dirigenza deve fare un forte e sentito appello affinchè non abbandonino la nave in balia del mare in tempesta ma, anzi, salgano numerosi a bordo per portarla in salvo.
Se mi è consentito desidero formulare un auspicio: invece che “imporre” le scelte dall’alto sarebbe molto saggio coinvolgere in questa fase i diversi componenti del movimento che poi saranno i veri protagonisti della rinascita; non un modo per scaricare responsabilità che sono proprie della dirigenza ma, al contrario, per farli sentire vera parte attiva.
Quella Federazione sempre agognata che non si arrocchi nel palazzo di Via Washington ma che lotti insieme ai suoi tesserati.
Per usare un refrain oggi in voga #uniticelafaremo.