La Dama di Picche

Sequel bridgistico della novella di Aleksandr Puskin
SINOSSI DELLA NOVELLA
Hermann, un giovane ufficiale del Genio, pur essendo estremamente attratto dal gioco d’azzardo se ne tiene ben lontano, finché affascinato dal racconto di un suo commilitone, che narra come una ricca contessa fosse riuscita ad imparare il trucco per vincere sempre al gioco, decide di fare di tutto per carpirle il segreto.
Si apposta per vari giorni davanti all’abitazione della vecchia signora e, attraverso le finestre, vede la giovane badante Lizaveta Ivanovna. Inizia un corteggiamento serrato finché la bella cede rivelandogli come riuscire ad entrare di soppiatto in casa. Una notte Hermann penetra nell’abitazione e riesce ad entrare nella camera della contessa spiegandole che, grazie al suo segreto, potrebbe cambiare il destino di lui e di tutta la sua famiglia. Tuttavia la contessa non gli dà retta e lui la minaccia con una pistola scarica. La contessa cade a terra e muore.
Dopo essersi confidato con la giovane Lizaveta assiste al funerale dell’anziana donna e, rincasando, cade in un sonno profondo, dal quale viene svegliato bruscamente dal fantasma della contessa, la quale promette a Hermann di farlo vincere al gioco grazie a tre carte: il tre, il sette e l’Asso. In cambio della rivelazione, il fantasma della contessa chiede a Hermann di sposare la ormai ex dama di compagnia e di giocare una sola di quelle carte a sera. Il miraggio della ricchezza eccita la sensibilità del giovane ufficiale, le tre carte diventano per lui un pensiero fisso e dominante. Hermann ha finalmente occasione di giocare quando una sera, accompagnato da un suo amico, viene introdotto in una casa dove si tiene un banco di gioco. La prima sera egli punta 45.000 rubli sul tre, sbalordendo tutti e vincendo, come facilmente prevedibile. La sera successiva accade la stessa identica cosa, con l’unica differenza che egli punta sul sette. L’ultima sera Hermann punta sull’Asso ormai sicuro della sua buona riuscita; tuttavia la carta che esce è una Dama di picche, nella quale crede di riconoscere il volto beffardo della contessa. L’epilogo della storia vede Hermann rinchiuso in un istituto psichiatrico che ripete incessantemente le parole “tre, sette, Asso, tre, sette, Dama…”
“Tre, sette, Asso, tre, sette, Donna!”. Rinchiuso in manicomio Hermann continuava a ripetere le seguenti parole. La visione dell’infingarda vecchiaccia in quella carta si manifestava senza posa dall’aldilà turbando ulteriormente la psiche del povero giovane. Egli non aveva più pace.
Forse ricordava che quella notte passata perdendo tutto a poker era stata l’ultima trascorsa prima di essere internato in quel luogo di pazzi, ed ora era lui il più folle di tutti. Tutta colpa di quella contessa la quale anche da defunta lo tormentava incessantemente, senza pietà: ella non poteva perdonare, dall’oltretomba, il giovane che aveva causato la sua morte spaventandola con quell’incursione notturna improvvisa in casa sua. Anche nel sonno non trovava più riposo.
Finalmente una notte gli sembrò che non gli si profilasse più la vecchia davanti. Al contrario comparve a poca distanza una distesa di tavoli verdi e fu subito richiamato ad iniziare il torneo che stava per iniziare. Gli parve che non si giocasse a poker: cos’erano quegli strani oggetti rossi disposti su ogni angolo del tavolo?
La direttrice del torneo, da lui interpellata, lo guardò torva. Era una bella ragazza giovane e ad Hermann sembrò di riconoscere il suo viso.
“Mai giocato a bridge? Sono bidding box, servono per la dichiarazione” gli disse lei con tono irritato.
“Bridge? Non ho mai visto quelle scatolette rosse! Giocavo coi miei amici anni fa, ma licitavamo a voce”
Gli sembrò opportuno presentarsi.
“Comunque piacere, mi chiamo Hermann”
“Scusa se sono stata brusca prima, sei ancora giovane e non avrei mai pensato che… Comunque piacere, il mio nome è Lizaveta Ivanovna. Possiamo vederci alla fine del torneo per un aperitivo, se vuoi.”
Non ricevette risposta: il suo interlocutore era svenuto a terra appena udito il nome. Lo rianimarono coi sali e fu portato di forza al tavolo, sotto l’occhio sbigottito della direttrice che non riusciva a comprendere cosa fosse accaduto.
Eppure qualcos’altro di diabolico in tutto questo ci doveva essere. Venne annunciato il primo premio: era una casa in palio, ed alla proclamazione dell’indirizzo Hermann sbiancò. Era la sua! Com’era possibile? In un momento di rara lucidità comprese che nei sogni o incubi quali che fossero tutto poteva essere permesso e non protestò. Piuttosto bisognava vincere il torneo per non perdere la sua abitazione.
Ricordava i segreti base del nobile gioco, seppur molto arrugginito rispetto a quando si “ingaglioffava” nelle osterie facendo ballare il tavolo al momento di tagliare un asso all’avversario e gridando sconcezze contro i propri commilitoni se trovava le atout mal divise, in pieno stile machiavellico.
Era un torneo barometer e dopo ogni turno poteva vedere la classifica; non poteva essere deluso. Lui e il suo compagno stavano andando davvero bene ed il nostro protagonista aveva mosso le carte quella sera in maniera magistrale.
Libero al momento dell’incubo che lo tormentava, da quella notte al casinò sembrava essere rinato. Era primo e valutò che gli serviva non prendere uno zero per mantenere la posizione, ed ormai mancava una sola mano.
Herman aprì 3, rialzato a sei dal compagno. Senza esitare l’attaccante intavolò il
2.
“Voleva fare il taglio, ma il capoccione a quadri ce l’ho io! Prenderò, batterò le atout e incasserò 12 prese, 7 picche, 3 quadri e i due assi laterali. ASSO, PREGO!”.
Non fece la presa: l’avversaria di Hermann era vuota a quadri e con calma serafica pose sul tavolo l’unica atout che possedeva. La Peppatencia.
Ad Hermann, perduta definitivamente la sua magione, parve di scorgere per l’ultima volta in quella figura neraccia l’immagine della vecchia contessa ed il suo volto malefico e subito comprese il suo diabolico piano. Ella gli aveva fatto credere di essersi liberato di lei per beffarlo per la seconda volta nel momento cruciale. Cercò disperatamente di strappare la carta ma non vi riuscì e crollò per terra privo di sensi.
La Dama di Picche si era definitivamente vendicata su di lui.