Intelligenza Artificiale

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Bridge, lo Sport della Mente
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Questo articolo riprende in alcune parti l’articolo “Artificial Intelligence” di Mark Horton
Il cuore ha delle ragioni che la ragione non sente.
Blaise Pascal
Le macchine possono essere creative? L’idea è piuttosto strana.
Nel 19° secolo, la comunità scientifica è giunta alla conclusione che gli esseri umani non possono essere davvero oggettivi. Pertanto, sono stati sviluppati diversi metodi scientifici, con lo scopo di aggirare la tendenza dell’uomo a fidarsi della propria esperienza.
Sono stati stabiliti canoni ferrei di interpretazione dei dati, seguendo vie che prevenissero l’interferenza del ragionamento umano, che avrebbe potuto viziare le conclusioni degli esperimenti.
Nel lontanissimo 1936, quando ancora l’informatica non esisteva nemmeno lontanamente, lo scienziato inglese Alan Turing teorizzò un meccanismo apparentemente molto semplice, ma che di fatto era in grado di simulare la logica di qualsiasi algoritmo, anche il più complicato.
La macchina di Turing è la base dell’informatica moderna.

Ma che attinenza ha tutto questo con il Bridge?
Apprezziamo un giocatore creativo di Bridge per la sua capacità di sviluppare nuove teoria di licita, gioco e controgioco a cui nessuno aveva pensato prima. Lorenzo Lauria, Alfredo Versace, Giorgio Duboin… e in passato Benito Garozzo, Giorgio Belladonna, Eugenio Chiaradia e tantissimi altri Azzurri sono esempi di genialità applicata al Bridge, veri precursori, inventori di sistemi dichiarativi imitati in tutto il mondo.
Le macchine in generale e i software di Bridge in particolare non possono essere creativi. Le macchine, come abbiamo visto, rappresentano il moderno paragone con l’oggettività, perché non possono mai deviare da regole o azioni prestabilite.
I software di Bridge eseguono continui calcoli e, seguendo regole ristrette, trovano linee di gioco che da un punto di vista umano sono talvolta molto creative. Ma non perché le macchine siano di per sé creative. Semplicemente, noi umani non possiamo eseguire gli stessi conti di una macchina: giochiamo basandoci sulla nostra esperienza e sulle nostre conoscenze teoriche.
La nostra capacità di trovare modi nuovi di applicare ciò che sappiamo o di adattarci a situazioni in cui non trovano applicazione le regole che già conosciamo è la ragione per cui consideriamo creative alcune giocate dei software. Ma le macchine, in realtà, obbediscono semplicemente alle regole senza mai deviare.
Siamo talmente affascinati dalla smisurata capacità di calcolo delle macchine che abbiamo cominciato a credere che siano creative. Questa è una sorta di ironia della storia, perché i computer sono stati ideati proprio per risolvere il difetto umano della creatività.
La programmazione informatica applicata al Bridge deve necessariamente includere molta teoria della probabilità. Per esempio, al computer viene “insegnato” il principio della scelta ristretta.
Se consideriamo queste due combinazioni di carte:
Nel primo esempio, per fare il massimo numero possibile di prese bisogna giocare piccola al fante e successivamente piccola al dieci.
Nel secondo esempio, invece, bisogna muovere piccola verso la dama e poi battere l’asso.
La ragione è che nel primo caso ci mancano carte equivalenti (re e dama di picche). Se Est ha KQ secchi, quando noi giochiamo piccola al fante l’avversario ha una scelta: può vincere sia con il re che con la dama. Nel secondo esempio invece, se Est ha
KJ secchi, quando muoviamo piccola alla dama non ha scelta: per vincere deve per forza impegnare il re.
Una delle aree più complicate della teoria del Bridge è il cambiamento della probabilità di divisione di certi semi e di localizzazione degli onori man mano che il gioco va avanti.
Le percentuali calcolate all’inizio della mano – probabilità a priori – non sono scolpite sulla pietra. Presa dopo presa, si recuperano informazioni e le percentuali aumentano o diminuiscono, qualche volta drasticamente.
Quanto esattamente cambino è spesso difficile da determinare, non solo per fattori soggettivi ma anche per errori nell’uso della teoria della probabilità.
Ad esempio, supponiamo di dover fare l’impasse a un re. La probabilità a priori è del 50%; ma man mano che il gioco procede può diventare più grande o più piccola a seconda di ciò che si scopre sulla distribuzione delle carte avversarie.
Se emerge che Est ha quattro carte nel seme e che Ovest ne ha solo una, a questo punto la probabilità di riuscita dell’impasse è dell’80%.
I migliori software di Bridge possono applicare questi principi.
Durante i World Bridge Games, che si sono svolti a Breslavia, in Polonia, nel mese di Settembre, si è tenuta una speciale sfida fra software di Bridge. Ciascun programmatore ha schierato il suo software. I programmi informatici si sono affrontati fino a determinare la vittoria della macchina targata Francia Wbridge5, che in finale ha sconfitto il programma giapponese Micro Bridge.
Durante i Campionati si è verificata una giocata talmente affascinante da farci quasi riesaminare il concetto di Intelligenza Artificiale.
Contro = 4+ fiori, forza
3 = fermo a picche, richiesta di fermo a cuori

Ovest ha attaccato con la Q. Per come sono disposte le carte, c’è un solo modo per fare 6
e la licita suggerisce la linea di gioco di successo. Le quadri possono essere divise 2-2 oppure 3-1 e bisogna decidere come, perché occorrono due ingressi in mano, uno per fare l’impasse a cuori e uno per incassare le quadri. Dato che Ovest è lungo a cuori e a picche, Wbridge5 ha determinato che la probabilità che avesse un onore secco di quadri (il fante oppure il 10) fosse maggiore rispetto alla suddivisione 2-2 dei resti.
Il gioco è proseguito così: l’attacco è stato preso con l’asso del morto. Il computer ha poi giocato la dama di quadri, mangiata dall’asso. A questo punto ha fatto l’impasse di cuori, l’impasse di quadri e ha incassato le quadri.
Questa la situazione a cinque carte dalla fine:
Quando Sud ha giocato il 2, Ovest non aveva mosse utili. Al tavolo, ha scartato la
Q, e il dichiarante il
4 del morto. E’ seguita una picche per l’asso di Ovest e il ritorno cuori è stato vinto dalla dama del morto, lasciando il morto con la vincente di cuori (l’asso) e il dichiarante con il re di picche.
La brillante giocata di Wbridge5 vi ha fatto pensare che forse forse l’intelligenza artificiale esiste?
Secondo alcuni autori, le macchine sono già dotate di intelligenza artificiale, semplicemente gli esseri umani che le osservano non se ne sono ancora accorti. Secondo loro, quando il software di scacchi Deep Blue ha battuto Garry Kasparov, il programma tramite mosse geniali stava provando di avere autentica intelligenza.
Gli scettici sostengono che non si tratti di vera e propria intelligenza, semplicemente del frutto di una serie di calcoli particolarmente lunga e complessa. L’intelligenza reale è “ogni comportamento intelligente che le persone possono mettere in atto e le macchine no”. Ma se qualcuno di noi umani battesse Garry Kasparov verrebbe riconosciuto come un genio degli scacchi.
Secondo Carlos Guestrin, CEO di Turi, azienda di Seattle che sviluppa sistemi informatici e robotici e App “intelligenti”,
Per definizione, quando qualcosa funziona non è più definita come Intelligenza Artificiale
Questo è il cosiddetto “effetto Intelligenza Artificiale”:
i successi raggiunti dall’intelligenza artificiale, da programmi che di fatto hanno attuato comportamenti intelligenti, diventano subito assimilati all’ambito in cui hanno conseguito questi risultati e quindi cessano di essere riconosciuti come intelligenza artificiale.
Un paradosso, dunque. La scienziata Sabine Hauert, che si occupa di robotica all’Università di Bristol, ha dichiarato:
La verità è che lavoriamo sull’Intelligenza Artificiale da oltre 50 anni. Smettetela dunque di chiedervi: cosa faremo quando l’Intelligenza Artificiale arriverà? come se fosse una novità…

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