
Come promesso, quale atto finale di questa lunga avventura norvegese vi offro oggi qualche considerazione generale sulla prestazione delle nostre squadre giovanili, e nel farlo comincio dalle note positive.
In senso assoluto, la spedizione quassù ha prodotto dei risultati più che buoni, specie se si compara la prestazione complessiva delle squadre a quella di tre anni fa, quando due formazioni su tre – Under 26 e Under 21 – naufragarono in un cupo anonimato. Tutte e due finirono infatti a metà classifica, e tutte e due dopo un cammino molto simile, nel quale avevano regolarmente perso da tutte le migliori, spesso pesantemente, e giochicchiato con le più deboli. Insomma, un quadro desolante sotto il profilo tecnico, che certo lasciava immaginare nient’altro che un nero futuro per i protagonisti, sia a livello di categoria, sia, poi, Open.
Questa volta, invece, i più giovani si sono comportati benissimo, partendo sì molto male, ma poi dimostrando qualità tecniche e, soprattutto, caratteriali che fanno ben sperare, e che raccontano come siano stato certo seguiti molto bene. Motivazione, disciplina, spirito di gruppo, capacità di mettersi al servizio della squadra e del compagno sono doti fondamentali in ogni sport che non sia individuale, e qualità che vengono prima – come ha dimostrato l’Under 26 – delle potenzialità tecniche, inutili se si è incapaci di esprimerle. Ma non si nasce con esse. Anche se la predisposizione personale e culturale aiuta, ci vuole ancora chi sia capace di catalizzarla, e Dario Attanasio c’è riuscito molto bene.
Tuttavia, certi limiti tecnici sono emersi chiaramente, e se c’è qualcosa che deve essere fatta non è semplicemente insegnare ciò che manca, ma, prima di tutto, far capire che ci sono delle lacune, e che bisogna lavorraci sopra. Troppo spesso, infatti – e qui mi riferisco a tutte e tre le categorie, anche se non voglio generalizzare, e certo ci sarebbero dei distinguo da fare – ho visto e sentito parlare con supponenza degli avvversari, di frequente bersagliati di improperi ed accusati di essere solo fortunati. Non è questo l’approccio corretto: il punto di partenza deve essere quello di inculcare modestia e capacità di autocritica, senza dimenticare – elemento fondante di ogni attività sportiva che voglia definirsi tale, perché insito nel termine stesso “Sport” – il rispetto per gli avversari. Poiché è da giovani che si imparano l’educazione, in senso lato, ed i valori umani e civili che sono i pilastri della società, i nostri allenatori si devono impegnare a divulgare i principi sportivi, a beneficio anche – e non poco – delle loro possibilità tecniche. Inoltre, bisogna far passare come fondamentale la cultura del lavoro: solo applicandosi, come hanno dimostrato i nostri super campioni, sempre alla ricerca di miglioramento a dispetto delle loro bacheche grondanti trofei, si può raggiungere il vertice. E questo non vale solo a bridge, ma è un principio che aiuterà anche nel futuro, anche lontano da sipari e bidding box.
Ho usato gli Under 21 per parlare di principi generali, ora è tempo di parlare dei più grandi, quelli, ahimé, dai quali sono venute, e di gran lunga, le note più dolenti.
La squadra partiva tra le favorite per il titolo, data la presenza di quattro giocatori di già lunga esperienza nazionale ed internazionale, nonché titolati a livello Open. Tra di essi, spicava Gabriela Zanasi, detentore niente meno che della Champions Cup, e di due Campionati Italiani a Squadre consecutivi, tutto con la squadra Lavazza.
Purtroppo, proprio la coppia Delle Cave-Zanasi è stata la principale responsabile della disfatta, senza però dimenticare altri fattori che vedremo dopo. I due, infatti, hanno faticato a trovare affiatamento, e non di rado si sono esibiti in scelte velleitarie e, con tutta evidenza, anche in reciproci dispetti. Insomma, un amalgama i cui componenti sono rimasti ben distinti, senza mai diventare un tutt’uno. Potrei fare qualche distinzione individuale, ma preferisco fermarmi qui: intelligenti pauca o, più semplicemente, “a buon intenditor, poche parole”.
Come è noto – e la storia nazionale ben ce lo insegna – due ottimi giocatori non fanno un’ottima coppia, ed anzi, due prime donne spesso ne compongono una pessima.
Non si è quindi trattato di una buona scelta, come del resto, mi dicono, era già sembrato evidente in fase di allenamento, ed è chiaro che chi li seguiva non è stato capace di gestire la situazione. Tuttavia, non si può dare tutta la croce addosso al loro Coach, perché Valerio Giubilo era all’esordio, ha da poco in mano la squadra, e si è trovato precipitato in una situazione davvero molto complicata. Né si può condannare troppo la scelta originaria: alternative di quella qualità non ce n’erano, ed è comprensibile si volesse cercare di recuperare Delle Cave.
Forse, guardando a quello che hanno fatto le squadre polacche Under 26 e Ladies, si poteva tentare di dividere i due, così equilibrando di più la squadra, che avrebbe disposto di tre coppie e non due – hanno giocato in quattro per quindici dei diciassette turni – , e disinnescando la miscela esplosiva.
Proprio così hanno fatto i polacchi, che da quando hanno cambiato coppie, a metà campionato e dopo un inizio stentato, si sono messi a volare in tutte e due le categorie citate.
Per noi, però, non era così facile, anche perché, mentre i polacchi giocano tutti, invariabilmente, lo stesso identico sistema e con lo stesso identico stile, così non è per i nostri, ed è forse tempo che anche in questo campo si faccia qualcosa.
Guardando ai nostri alfieri più prestigiosi, basta forse ricordare che l’intera squadra Lavazza gioca lo stesso sistema, fino nelle virgole, e che il medesimo non è che lo sviluppo di quello giocato a suo tempo da Bocchi-Duboin. Anche quello di Lauria-Versace è sostanzialmente lo stesso, come identico è l’approccio stilistico al gioco.
Ciò impietosamente detto, non posso però fare a meno di notare che un qualche ruolo l’ha avuto anche la sfortuna, sebbene c’è chi potrebbe definirla meritata. Nel momento cruciale, quando venivamo da un bruttissimo incontro con il Portogallo ma eravamo ancora quarti, e con l’Inghilterra e l’Olanda da affrontare (allora prima e seconda) in sequenza, siamo incappati in inglesi particolarmemente ispirati, che ci hanno sotratto in due mani 26 IMP, quando giustizia avrebbe dovuto darne altrettanti a noi. Anche con la Polonia, una volta detto che i baltici ci sono stati comunque superiori sia tecnicamente che per motivazione, almeno due mani hanno spostato oltre 30 IMP in maniera abbastanza causale (ma la mazzata più pesante ce l’hanno data per una migliore scelta d’attacco).
Spero che la debacle serva di lezione a tutti i protagonisti, e che tra un anno questo tesoro di easperienza possa essere determinante nel mondiale casalingo, anche se la squadra non sarà interamente la stessa, per motivi anagrafici.
Infine, le signorine, le quali avevano una squadra dalla quale erano scomparse, sempre per raggiunto limite di età, tre delle protagoniste delle molte cavalcate vincenti degli ultimi anni, sostituite da ragazze molto, ma molto inesperte, anche a livello nazionale, per non dire della scena internazionale.
Cominciamo col dire che il campo di gara era sì ristretto – appena sei formazioni hanno raggiunto Tromso – ma che questo influiva poco sulla gara, visto che da almeno quattro edizioni le nazionali che contano sono solo quattro, Francia, Polonia, Italia e Olanda, e che quelle c’erano tutte.
Trovo francamente oziosa la polemica in merito, perché se è vero che le nostre sono arrivate terze su sei, è anche pressoché certo che sarebbero arrivate terze su qualunque numero di formazioni fosse stato in gara, atteso che non mancassero le migliori.
Il problema del numero delle ragazze ha certo a che fare con la scomodità, ed il costo della trasferta, ma anche con il fatto che di giovani cen’erano in realtà molte, a Tromso, ma giocavano nelle squadre Under 26 e Under 21. La Germania Under 26 ne aveva tre, una la Svezia, tre (su quattro soli componenti) l’Austria ed altre erano sparpagliate qua e là nelle due categorie (persino la Francia aveva una ragazza nell’Under 21). Questo è un fenomeno in espansione negli ultimi anni.
Le nostre sono state brave a gestire l’inesperienza, crescendo mano a mano che il campionato avanzava, e non mancando un colpo nel momento cruciale per agguantare il bronzo. Forse – ma non sono in grado di giudicare compiutamente – si poteva fare ciò che ha fatto la Polonia, dividendo le due leader Chavarria e Costa – le due hanno giocato una spanna almeno al di sopra delle altre – e formando così con le due “Margherite” due coppie più equilibrate. Ma lascio volentieri alla brava Emanuela Capriata il compito e l’onere di tirare le somme a mente fredda, e riflettere sul da farsi prossimo venturo.